Dalla parte dell'editore: l'intervista.
Che sia un atteggiamento comune o meno, quando guardo un libro, lo trattengo nelle mani e sfoglio qualche pagina, mi chiedo chi ci sia dietro i libri che leggiamo e cosa significhi (oggi) investire sul prodotto editoriale. Per chiarire la questione ho deciso di domandarlo a chi in libri (belli) investe per mestiere e passione. Ne parlo con Mirko Zanona, direttore editoriale di Aurora Edizioni, una casa editrice indipendente nata a Trento nel 2016, che si occupa di racconti e saggi brevi.
D. Ciao
Mirko, anzitutto ti ringrazio per il tempo dedicatomi. La prima domanda che mi
viene da porti è: come nasce Aurora edizioni? E cosa o chi c’è all’origine del
nome?
R.
Buongiorno Federica e grazie a te per questa intervista. Aurora edizioni nasce
per passione dopo due anni, dal 2014 al 2016, di travagliatissima ed accurata
progettazione. Avevo in testa l'idea di questi libricini, racconti e saggi
brevi rilegati con punti metallici, e l'ho sviluppata. Non è stato facile:
volevo essere indipendente, senza alcun vincolo e volevo fare una certa ricerca
per consegnare al lettore un buon prodotto. E alla fine l'idea si è
concretizzata, con tutte le sue pecche e i suoi punti di forza.
Aurora
è mia figlia, nata proprio nel 2014 e ispiratrice del progetto.
D. Il
tuo catalogo ospita tre collane più “anziane”quali: “Saggi” (a tema
letterario), “Echi” che contempla la riproposizione di racconti scritti da grandi
autori del passato e “Pensieri nuovi” spazio dedicato ai racconti contemporanei
scritti da autori esordienti; dal 2018 avete la nuova collana “Oltre” dedicata
alle traduzioni. Secondo te quanto è importante investire su autori nuovi?
Quali sono i pro e quali i rischi?
R. Investire
su autori nuovi è rischioso ma allo stesso tempo affascinante. Rischioso perché
in un certo tipo di lettore scatta il desiderio di “conoscere” l'autore a
prescindere che si tratti di una piccola casa editrice. Dunque, di base, QUEL
lettore non si avvicina al nuovo autore. In fiera si è spesso costretti a dialogare
con chi si avvicina allo stand mormorando con una certa diffidenza “questi
autori non li conosco”. Fortunatamente, di contro, ci sono molti elementi
positivi: la sfida di vincere questa diffidenza e vincerla, il fatto di
lavorare con autori preparati, pronti a mettersi in gioco per il proprio libro
e per la casa editrice.
D.
Parlaci dei criteri che guidano la tua scelta in merito all’autore e al titolo
da pubblicare.
R.
L'autore viene scelto in base a quello che scrive, dunque se scrive bene e il
suo libro rientra nei parametri richiesti, viene sicuramente considerato.
Il
libro viene scelto in base a norme piuttosto precise, visto anche il tipo di
pubblicazione: cerchiamo racconti non di genere o saggi a tema letterario che
abbiano una lunghezza specifica.
D. In
uno dei recenti video che hai condiviso sulla pagina Facebook, è stata mostrata
una nuova veste grafica (dorso e nome). Rappresenta un cambiamento solo di
immagine legata a una migliore qualità del prodotto o c’è qualcosa di più?
R. Io
vivo la mia casa editrice come un organismo in continua evoluzione. Fabio
Caregnato, della tipografia Caregnato, mi propose qualche mese fa questo nuovo
tipo di rilegatura, una rilegatura che mantenesse il carattere della casa
editrice, quindi che prevedesse l'utilizzo del punto metallico, ma che allo
stesso tempo ne migliorasse l'aspetto. E così è stato. Un rinnovamento
stilistico non indifferente.
D.
Quali sono, se ce ne sono, i tre titoli che meglio rappresentano l’identità
della tua casa editrice?
R. In realtà
non ci sono titoli più o meno rappresentativi. Rappresentano tutti, in egual
misura, la mia visione del progetto.
D. Ci
sono in catalogo dei testi che richiamano esplicitamente notizie di cronaca
nemmeno troppo remote, come per esempio Lithium
48 di F. Iuliano o Io non c’ero
di G. Tomei. Secondo te quanto è possibile sensibilizzare il lettore su talune
tematiche attraverso la scelta di plot narrativi di questo tipo?
R.
Tutta la letteratura offre continui spunti di riflessione. Anche le tematiche
che ci appaiono lontane, obsolete e anacronistiche ad una prima lettura,
possono in un secondo momento dare modo di capire ed interpretare la nostra
realtà. Il lettore ha il compito di catturare gli spunti che gli vengono
offerti e farne tesoro.
D.
Quali credi siano gli standard in grado di suscitare l’interesse dell’attuale
pubblico?
R.
Solitamente non categorizzo i lettori. Stampo ciò che mi piace e spero piaccia
anche al mio pubblico. Non ho mai fatto analisi di questo tipo e per farla in
maniera completa e precisa, senza dare torto a nessuno, dovrei prendere in
considerazione molti aspetti. La realtà è che a me piace il lettore onnivoro,
colui che ama i gialli come ama i classici, che legge un romanzo storico e
subito dopo si infila in un horror.
D. Ci
sono dei libri ormai fuori catalogo che ti piacerebbe ripubblicare?
R. La
collana “echi” e una grossa fetta dei “saggi” si compongono proprio di libri
fuori catalogo, in particolare di libri i cui diritti sono decaduti. È stato un
lungo lavoro di ricerca in biblioteche e mercatini, ma il risultato ha ripagato
gli sforzi.
Ci sono
poi autori fuori catalogo che stuzzicano da mesi la mia attenzione ma i cui
diritti sono difficili o, in alcuni casi, impossibili da acquistare. Avrei
voluto fare, ad esempio, un bel lavoro su un testo di Fosco Maraini, la “Gnosi
delle fanfole”, ma i diritti, mi è stato detto da chi li gestisce, sono stati
acquisiti da una grande casa editrice e le porte, per Aurora edizioni, si sono
chiuse.
D. Qual
è la mission per il futuro e quali le
novità previste per il 2019?
R.
Abbiamo appena pubblicato un'importante traduzione, il Boje di Viktor Petrovic
Astafe'v tradotto da Annalisa Di Santo. La mission per il futuro è tenere alta
l'attenzione nei confronti di questa ultima uscita così come continuare a
promuovere tutte le altre novità 2017/18, quindi “Lithium 48”, “Io non c'ero” e
“Il giardino di Gezi”, racconti straordinari che hanno già dato moltissimo.
Noto un
certo interesse anche per le pubblicazioni del 2016, “I pensieri di uno stolto”
di Silvia Leuzzi, “New York, Andalusia del cemento” di Fabio Iuliano e “Brani
dalla Russia” di Elena Sartori, che comunque non sono da dimenticare.
Per il
2019 ho altre nuove pubblicazioni interessanti in ballo e spero di portarle
avanti tutte.
D.
Com’è organizzata una tua “giornata tipo”?
R. Mi
sveglio molto presto, alle quattro del mattino. Avendo un altro lavoro, mi
dedico alla casa editrice dalle quattro alle sei, gestendo tutto quello che
riesco a gestire, dagli ordini, all'impaginazione, alla grafica, al sito, ai
contenuti per i social che programmo. Alle sei del mattino mi reco al lavoro
per riprendere poi la casa editrice alle quattro del pomeriggio ora in cui,
Aurora permettendo, porto avanti lavori che al mattino non sono riuscito a
finire. Nel fine settimana si concentra poi il lavoro burocratico: compilazione
di scartoffie, pagamenti e tutto quello che ha a che fare con l'editoria ma non
con la letteratura (il lavoro noioso, insomma).
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Mirko Zanona |
D. Lo scorso anno (luglio 2017) hai partecipato al Festival
dell’Editoria e delle Arti –Indipendentemente, ideato e organizzato dall’amico
comune Fabio Ivan Pigola. Secondo te, per un editore indipendente, quanto è
importante partecipare a eventi di questo tipo?
R. Le fiere hanno un'importanza fondamentale, specialmente
quando parliamo di piccola editoria. Non sempre si porta a casa un risultato
soddisfacente, a volte si realizza un guadagno altre volte si incassa (in senso
“pugilistico”) una perdita, ma personalmente amo il contatto con i lettori, amo
confrontarmi con i colleghi, amo l'aria che si respira alle fiere. Inoltre è una buona occasione per presentare.
A Chiari per la rassegna della Microeditoria, ho portato, negli anni
precedenti, Fabio Iuliano e Nadeia De Gasperis. A Crema, per il festival Inchiostro,
qualche mese fa, ha presentato il suo “Io non c'ero” Giuseppe Tomei.
D.
Quale sarà il prossimo festival/fiera a cui parteciperai?
R. Il
primo fine settimana di novembre sarò a Chiari, appuntamento per me
assolutamente imperdibile, con Annalisa Di Santo per la rassegna della
microeditoria. Avremo il nostro stand e presenteremo “Boje”.
Intervista a cura di Federica Lombardozzi Mattei
Boje approda in
Italia.
“C’erano
state ore e notti felici vicino al falò, sulla riva del fiume che faceva
tremolare le luci delle boe, trafitto fino al fondo dalle auree gocce delle
stelle; ore ad ascoltare non solo lo sciabordio delle onde, il sibilo del
vento, il mugghio della taiga, ma anche i placidi racconti delle persone sedute
all’aperto, vicino al falò, con la loro inusuale franchezza; racconti,
confessioni, ricordi, fino al primo albore o addirittura fino al mattino che diffonde
una luce tenue al di là dei valichi lontani, fino a quando dal nulla non
appaiono, non si ammassano, strisciando, nebbie appiccicose, e le parole si
fanno vischiose, pesanti, la lingua è torpida, e il fuocherello si spegne.”
Astaf’ev
e la sua scrittura densa, evocativa, suggestiva, e a tratti ostica, arriva in
Italia con l’opera dal titolo “Boje” (edita da Aurora Edizioni) grazie alla
traduzione curata da Annalisa Di Santo. È un testo, questo, finalizzato a
raccontare le due tematiche che più stanno a cuore a questo scrittore ovvero la
guerra e la campagna. Astaf’ev e la sua letteratura rurale, tentano di
“denunciare gli orrori della guerra, di denunciarla e spogliarla della
propaganda edulcorante del periodo sovietico” nonché di raccontare con estrema
semplicità le tradizioni del suo popolo.
Car’-ryba,
la raccolta di novelle scritta nel 1976 da cui è tratto Boje (sono in totale
tredici racconti indipendenti tra loro, ma accomunati dalle ambientazioni, dai
personaggi, dal protagonista e dai temi trattati), racconta di quanto
“mortifero, (per la natura e per l’uomo) sia stata l’ingerenza e l’introduzione
forzata della civilizzazione in una remota provincia sulla riva dello Enisej.”
Astaf’ev
arriva in Italia come un semi-sconosciuto, una parte di letteratura russa iniquamente
tenuta ai margini. Le motivazioni che sono alla base della scelta, di questa
giovane traduttrice, di proporre quest’opera al pubblico italiano le chiediamo
direttamente a lei:
D.
Annalisa, come mai tra i vari contemporanei russi hai scelto di tradurre
Astaf’ev? E come mai proprio quest’opera?
R.
Come spesso succede, il mio incontro con questo autore è stato del tutto
casuale. Preparavo la specialistica in Russia, e volevo fare qualcosa che
unisse la lingua e la letteratura quindi mi fu proposto di lavorare sul lessico
dialettale e non, dell’opera di questo autore. Mi sono così appassionata che mi
è sembrato quasi doveroso fare in modo che il pubblico italiano lo conoscesse,
e allora ho iniziato a tradurlo.
D.
Togliendo i nomi dei grandi autori della letteratura russa che tutti conosciamo
e apprezziamo, da Tolstoj a Dostoevskij a Cěchov, secondo te in Italia quanto è
stato ingiustamente sottratto alla cultura e ai cultori russi?
R.
Direi che ciò che manca alla conoscenza italiana della cultura russa, è
certamente la prosa bellica e rurale (eccezione fatta per Rasputin, siberiano
di Irkutsk), e più nel dettaglio la prosa siberiana con Astaf’ev, Šukšik e
Prišvin (a loro antecedente di un ventennio circa.) Sono più noti i nomi legati
alla prosa dei lager; basti pensare a Solženicyn e Šalamov e Vasilij Grossman.
La letteratura contemporanea in realtà è piuttosto tradotta. Credo che manchi
la prosa più tipica della provincia, di quella Russia autentica e genuina di
cui c’è ancora molto da dire.
Di
questo e di molto altro ne parleremo insieme a Annalisa e agli ospiti che
interverranno, sabato 22 settembre alle
ore 17 presso il Centro di Scienza e cultura russa, piazza Benedetto Cairoli
6, Roma.
Vi
aspettiamo.
Federica Lombardozzi Mattei
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