lunedì 16 aprile 2018

Felici diluvi (Recensione)


Titolo: Felici diluvi

Autore: Graziano Gala




“A te, che ho tenuto alla fine e che sei l’Inizio. A te, che mi hai preso rotto senza preoccuparti di quanti fossero i cocci. A te, che mi stai insegnando un respiro alla volta che non ci sarà mai abbastanza pioggia per un ombrello ben costruito.”

Inizio dalla fine, dai ringraziamenti che ho amato quanto i racconti, quattordici in tutto, attraverso i quali Graziano Gala racconta la vita guardando oltre il visibile, la superficie, l'immaginabile.

Per cominciare, l’Applauso a un uomo che non si arrende al suo presente, che scavalca a mani nude il muro di un destino che sembra inevitabile, come a voler dare concretezza alla convinzione che le passioni, per quanto indebitamente sottratte, riescano a farsi strada ugualmente insinuandosi tra delle fessure piccolissime, tra le crepe di ciò che si è deciso di non abbandonare:

“Le mani che scivolano sul bianco un po’ ingiallito dei tasti, poi più calde, certe, tranquille. I topi, i senzatetto, gli avventori dei locali in chiusura che si fermano ad ascoltare. (…)
Sui balconi, dalle finestre, qualche curioso. Poi qualche altro. Poi sempre di più, compresa una volante. Il cuore che pigia i tasti, la mano che frena i battiti – e sono troppi, e Marco non sa se è in grado di reggerli – il pubblico, impigiamato, che ascolta. Una vecchia, dal balcone, che fa battere ritmicamente i due palmi delle mani.”

E poi c’è Maimondo Ruccellai, un uomo che ha sempre tentato di contenere l’acqua, di domarla, arginarla, deviarla e che d’improvviso si ritrova sommerso:

“L’acqua, la stessa acqua che gli aveva dato da mangiare prima e lo aveva arricchito poi, si stava improvvisamente riprendendo tutto.”

E quel buffo di Goffredo Rubagozzi che nel paese Orologi, in qualità di capo condomino, gode del privilegio di essere esente dal pagamento dell’elettricità e che, a un certo punto, si ritrova al buio, un buio impraticabile, disarmante e spaventoso.

In Recumèterna si racconta di un paese senza vita, Tulino, dove una vecchia ha fatto della morte e dei funerali quasi un mestiere, una missione di soccorso allo sconforto. Una “piangimorti”, un becchino e un prete che si ritrovano, loro malgrado, a fare i conti con la disillusione delle proprie aspettative.

“Stava morendo Tulino, e di fretta. Nessuna nascita, nessun matrimonio, neanche qualche sparuta convivenza: qui si veniva soltanto a finire.”
(…)
“Calma. Non è ancora mezzanotte. E si fingeva calma RoSara, si fingeva calma, ma ribolliva nelle ossa stanche e decrepite. Come mai tanto inspiegabile ritardo, come mai tanta titubanza nel regolare svolgersi degli eventi?”
(…)
“Che sudata, stasera, ecco, per arrivarne a capo. Una corsa. La vecchia che si precipita, a suo modo, verso una macchina certamente portatrice di notizie – e son venti metri concitati, ve lo giuro, perché a ottant’anni suonati anche venti metri richiedono il loro tempo.
Avvicinandosi, nessun morto. Anzi due giovani. Sanissimi. Sorridenti. Un Ridolfo sorpreso e imbarazzato. Il fiato corto, della vecchia. La fronte del becchino più lucida del solito.
I neon, sullo sfondo, con la loro luce da fermo in questura.”

In La figlia di Blasi, alcune lavatrici/asciugatrici prendono possesso di vissuto e sentimenti, di pensieri e di desideri attraverso la mente del proprietario, Goffredo Mammoni. È come se la lavanderia fosse un paese e i macchinari i suoi abitanti e, come in una piccola comunità, anche in questo posto non manca nulla, nemmeno la comprensione di-e-per la fine, o i cuori straziati dall’addio:

“Completiamo tutti il nostro compito: le operatrici finiscono di lavorare, gli asciugatori di asciugare, io di piangere.”

Dunque, un uomo che strappa ai condomini del suo palazzo le poche certezze coltivate a fatica, situazioni al limite del grottesco in cui chi-salva-chi lo si capisce solo a ridosso delle ultime battute; personaggi che sopravvivono all’estraneità di un luogo che è anche – o soprattutto –  un luogo interiore. 
E poi ancora, avanzando tra le pagine, l'autore si muove in modo che vengano palesati, con puntualità e consapevolezza, tutti quei buoni sentimenti non ereditati ma conquistati a suon di tenacia e necessaria rettitudine, come pure le cose perdute con rammarico e quelle perse per sana volontà:

“Sedici anni dopo, un uomo, ritrova il suo sorriso. E il suo sorriso è una tazza, una busta di cartone, un biglietto aereo pizzicato dal caffè. E il suo sorriso, questa volta, non si può più sequestrare.
Entrate pure nel locale, in attesa di confisca: sessanta metri calpestabili, due chiodi dentro al muro, un chiavistello arrugginito, due fornelli d’emergenza, del vento alle finestre.
Entrate vi dico: non vi aspetta più nessuno.
Solo due sedie, innamorate, sul ciglio della strada.”



Vi rimando alla biografia cliccando sul nome dell'autore linkato in alto.

Mi sembra invece opportuno evidenziare che:

- il racconto L'Applauso è stato segnalato dall'associazione "Onalim" in relazione all'evento Piano City Milano 2016 e letto nella scuola di scrittura Belleville;
- il racconto Sabotare il silenzio è stato incluso nell'antologia "Viaggi senza confini" (Testi&Testi) ed è risultato Terzo Classificato nel concorso "Fuori dal cassetto";
- il racconto Rumori da basso è stato incluso nell'antologia "Viaggi in punta di penna";
- il racconto Sentir messa è risultato Terzo Classificato al "Premio Letterario Nazionale Bukowski" nel giugno 2015. 

La mia impressione è che Gala riesca, senza alcuno sforzo, a dare forma alle particelle emotive che fluttuano nella vita di ciascuno di noi: le condensa, gli conferisce corposità, vita e movimento. Adopera sapientemente ironia, empatia e circostanze rimanendo sempre lontano dalla retorica e dalla polemica. Offre uno sguardo alle cose che è pulito, protetto dalle impurità che, nostro malgrado, ci minacciano costantemente e lo fa avvalendosi di una scrittura melodiosa e asciutta, serena, densa ma mai pesante. 
Non credo di discostarmi troppo dalla verità affermando che quella di Gala sia la migliore raccolta di racconti finora scritti da un esordiente, un mixage (ben riuscito) in cui sono amalgamati l'ottima scrittura, la potenza dei contenuti e uno sguardo attento e consapevole sul mondo.   

(Illustrazione di copertina "The cimitery of umbrellas II" di Stefano Bonazzi.)

lunedì 2 aprile 2018

Vinpeel degli orizzonti (Recensione)


Autore: Peppe Millanta
Edito da Neo Edizioni

“Arrivato in cima alla collina di solito Vinpeel rallentava il passo prima di lanciarsi lungo la discesa che portava a Dinterbild. Lo faceva per riprendere fiato ma soprattutto per parlare con l’orizzonte, e per sentirsi dire da lui le parole di cui aveva bisogno.”

Vinpeel è un ragazzino arrivato nel paese di Dinterbild ancora in fasce. Cresciuto da Ned Bundy, uomo solitario e di poche parole, Vinpeel cerca di creare con l’uomo un filo invisibile, ma resistente, assecondando pur senza comprendere la sua ricerca compulsiva di conchiglie, di rumori, di parole non dette.

Ma quello che ogni sera cercava sulla battigia di fronte casa, era il rumore del mare di una notte che avrebbe voluto rivivere per sempre. Una notte di tanto tempo fa il cui rumore, di certo, era rimasto incastrato in una conchiglia che prima o poi avrebbe trovato. Vinpeel lo seguiva ogni volta che poteva, attento a non disturbarlo, fino a quando suo padre, con le tasche piene, non si riavviava dentro casa. (…) C’era sempre un certo imbarazzo tra loro. Quello che hanno gli uomini quando non sanno come sfiorarsi.”

"Suo padre diceva che ogni conchiglia, quando viene tirata fuori dall'acqua, trascina con sé anche il rumore del mare che sta lasciando. Basta una piccola goccia e la conchiglia continuerà a raccontare di quel mare per sempre. (...) Ogni giorno del mondo aveva il suo mare, e ogni giorno del mare la sua conchiglia, e ogni conchiglia, dentro, aveva la sua storia. A patto di saperla ascoltare."

Vinpeel e Doan, il suo amico immaginario (ma nemmeno troppo), si auto impongono la missione di raggiungere l’Altrove, un orizzonte di luci e di curiosità, dapprima cercando di camminare sull’acqua:

“«CAMMINARE-SUL-MARE. Sentito Doan? CAMMINARE-SUL-MARE. È chiaro adesso?»
«Ma certo! Camminare-sul-mare. Chiaro!»
Da lì, tutta una serie di tentativi, con Doan a rifare mille volte lo stesso tragitto, avanti e indietro sulla battigia, sbuffando non appena il piede gli affondava in acqua, per poi tornare indietro e riprovare, mentre Vinpeel lo spronava a concentrarsi di più, a stare più attento.
«Ma attento a cosa?» faceva quello.
«Attento e basta» rispondeva l’altro.”

Successivamente, abbandonata quell’idea, costruiscono un’enorme fionda ma a rimetterci è soltanto la loro cavia, Dorothy, il maiale del signor Biton, proprietario dell'unica locanda di Dinterbild che, da Locanda Rotirdern diventa Locanba Biton a causa di tutta una serie di rocambolesche vicissitudini. 

"I due lasciarono la presa contemporaneamente. Dorothy schizzò via. Come un lampo. Diciotto. Diciassette. Sedici. Vinpeel sentì soltanto il colpo di una frusta. Poi si girò intorno, spaesato, senza sapere dove guardare. Doan gli prese un braccio e iniziò a saltellare su se stesso.
«Guarda Vinpeel, guarda!» continuava a ripetere eccitato indicando la notte. Quindici. Quattordici. Tredici. Vinpeel strizzò gli occhi in direzione del dito di Doan fino a scorgere Dorothy. Il maiale del signor Biton era un puntino che brillava in alto nel cielo. (…) Ma il conto alla rovescia di Doan si inceppò. Il puntino di luce, inspiegabilmente, aveva arrestato la sua corsa. Per un attimo sembrò che stesse in equilibrio nel vuoto.
Come sospeso.
A galleggiare.
Neanche fosse una stella.
Poi il puntino iniziò a cadere, in picchiata. E un boato terribile scosse la valle, fino a farla tremare.”

Mentre i due tentano di capire come andare via da lì, a Dinterbild arriva Mune, una bambina a cui Vinpeel insegna la Speranza, la Gioia, l’Allegria, la Nostalgia, la Paura. Le proprie, quelle di Mune e di tutti gli abitanti incastrati in quel luogo.

E Vinpeel, suo malgrado, scopre che la vicinanza con Doan delle volte vicinanza non è:


“Per un po’ non dissero altro. Guardavano la vastità che avevano di fronte, vicini eppure lontanissimi. Il silenzio, per Vinpeel, era tornato ad essere quello che era sempre stato: un enorme spazio di solitudine da cui uscire al più presto, per non smarrire la via del ritorno.”


Poi, quando tutto sembra ormai arrivato a un punto di stallo, l’intuizione di Vinpeel, improvvisa e risolutiva, li porta oltre l’orizzonte, in quell’Altrove da cui ci si allontana quando la vita si incaglia.

«A volte le vite dei grandi si inceppano, Vinpeel. Anche quelle che andavano una meraviglia possono incepparsi da un momento all’altro. E il più delle volte non si riesce a farle andare avanti neanche di un metro. Puoi stare lì a spingerle per ore, puoi anche farti aiutare da chi ti vuole bene, ma non si riesce proprio a farle ripartire.»

Dinterbild è un paese sospeso nel vuoto dell’attesa: Krisheb, il matto del paese, di vedere restituita dal mare la sua perduta gamba di legno, Vinpeel di qualcosa che lo porti via da lì, gli abitanti di assicurarsi l’esistenza scandendola con i soliti gesti e le medesime ritualità, Ned Bundy di consegnare alle onde parole che diversamente non saprebbe pronunciare. 
Questi personaggi surreali sembrano le caricature di sé stessi, disabituati all’idea di un cambiamento, di un’alternativa o, più ancora nello specifico, di una rinascita emotiva. Perché ci sono contenuti sottintesi e desideri troppo grandi da poter contenere, troppo enormi anche solo per poterne parlare.

Dinterbild è un non-luogo, uno spazio che somiglia a un purgatorio emotivo nel quale stazionare in attesa di-
E Doan che incarna i desideri inespressi degli uomini, gli obiettivi bramati e mai raggiunti e, solo alla fine, la riappacificazione col proprio mondo interiore.


Musicista di strada, Peppe Millanta (pseudonimo nato ai tempi universitari) si è diplomato in Drammaturgia e Sceneggiatura all'Accademia Nazionale Silvio d'Amico. Vincitore di numerosi premi di narrativa e di teatro, nel 2013 fonda la "Peppe Millanta & Balkan Bistrò" band di world music con cui si esibisce in numerosi festival in tutta Italia. Nel 2017 fonda a Pescara la "Scuola Macondo-l'Officina delle Storie" dedicata alle arti narrative. Vinpeel degli orizzonti è il suo primo romanzo.

Credo che questo romanzo sia una scommessa vinta, sia per la Neo. che si allontana, senza deragliare, dai binari stilistici a cui ci ha abituati, sia per la capacità indiscutibile dell'autore di affrontare in modo disilluso e "leggero" dei temi piuttosto importanti. Una scrittura al limite del fiabesco, delicata; descrizioni ironiche, fantastiche di una Dinterbild che è un po' dentro ciascuno di noi.
Un non-luogo in cui perdersi per la bellezza di potersi ritrovare. E in cui vi consiglio di addentrarvi.