lunedì 30 ottobre 2017

Trilogia di Marco Proietti Mancini (Recensione)



Trilogia:
- Da parte di padre
- Gli anni belli
- Il coraggio delle madri
Autore: Marco Proietti Mancini
Edito da Edizioni della Sera

Benedetto, detto Bittuccio, figlio di Benedetto, l’uomo di montagna che proprio dalla montagna fu ucciso, sposa Antonia, la “campusantara” la quale, nel bel mezzo di un terremoto, dà alla luce loro figlio: Benedetto. La storia di un padre che per amore del proprio figlio, rinuncia al suo ruolo di genitore per offrirgli un futuro più decoroso di quello che è toccato in sorte a lui. Un figlio, Benedetto detto Bebbè, che grazie a questo allontanamento, scopre una Roma dai colori e dai sapori ben lontani da quelli del paese e le attenzioni di una ragazzina che riesce, con la giusta tenacia, a fargli scoprire l’amore. Elena, questo il suo nome, è la giovane sposa e madre coraggiosa del terzo libro, quello che narra la loro storia d’amore vissuta durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Bebbè partirà per servire la Patria senza avere avuto il tempo di conoscere sua figlia, ma il coraggio di Elena, la sua forza nel far fronte alla fame, ai bombardamenti, alla paura saranno gli elementi positivi a chiusura di una trilogia in cui i sentimenti trovano il giusto spazio. 


Marco Proietti Mancini - Foto di Anna Celani
Le ambientazioni di questi tre libri godono di descrizioni robuste, al limite della concretezza, e di un linguaggio semplice e genuino; il tema del cibo torna puntuale in ciascun testo portando con sé (e in sé) il suo valore di aggregazione e festa, di casa e di famiglia. 

Le copertine, dai colori tenui e i soggetti che richiamano l’alternanza tra le partenze, i ritorni e le attese, sono in assoluta armonia con i contenuti della narrazione. Una prosa ricca di descrizioni, ma leggera e ariosa, questa di Marco Proietti Mancini, attraverso cui si respirano valori come la devozione, l’onestà, l’integrità; virtù che sono i principi cardine che accomunano i pensieri e le azioni dei protagonisti. 

“Tornava a casa a mangiare il suo pane, la sua minestra di uomo libero. Vivo, ma non salvo, perché anche se il suo corpo era integro la sua anima era ferita. Le cicatrici del corpo le vedi, come quel segno bianco e duro che era rimasto sul palmo della sua mano che ogni tanto gli doleva ancora come se il metallo dentro tornasse a essere incandescente; le ferite dell’anima sono invisibili, e non guariscono mai del tutto.”




mercoledì 25 ottobre 2017

Voglio vivere una volta sola di Francesco Carofiglio (Recensione)



Testo: Voglio vivere una volta sola
Edito da Piemme (2014)


“Io non sono un angelo. Non volo, non sono capace.
Mi muovo per le strade di pioggia e mi bagno. Mi siedo sulla sedia libera nella stanza.
Non mi ricordo altre vite. Soltanto questa, la nostra vita.”

Violette é una bambina mai nata, che vive grazie ai pensieri che le dedica la sua famiglia; una madre eccessivamente premurosa, due fratelli maschi che la avrebbero desiderata per motivi assai diversi tra loro, e un padre indaffarato nel lavoro e quasi del tutto incapace di assumersi la responsabilità del suo ruolo genitoriale.
La narrazione è ambientata in diversi luoghi cui la famiglia si ritroverà a vivere per necessità di vita/lavoro: Roma, Parigi, e una piccola città della Bretagna dove si concluderà la storia. La trama si muove lungo dei binari che stanno a metà tra il poetico e il surreale; l’evolversi catastrofico di vicende di vita familiare che si concluderanno con due allontanamenti e un abbandono.
Violette segue questo evolversi dei fatti mantenendo sempre viva in sé la speranza che la sua famiglia non stia cadendo in rovina, e che non smettano di alimentare quei pensieri di lei che la tengono ‘in vita’. “Smetterò di esistere quando l’ultimo di loro smetterà di pensarmi”, dice la bambina a un certo punto della storia. E questo accadrà, nel più romantico dei modi.
Quella di Carofiglio è una scrittura semplice, discreta, e con una nota poetica. I paragrafi sono ariosi, i dialoghi non eccessivi e mai scontati.

Una volta, molti anni fa, papà ci disse che la morte non esiste. Che nasciamo e moriamo, sì, ma alla fine quello che resta rimane nei pensieri, o nel cuore.
«Cos’è quello che resta, papà?»
«Quello che tieni con te, Jean. Quello che vuoi conservare.»
«E se mi dimentico?»


Federica Lombardozzi Mattei

martedì 24 ottobre 2017

L'inganno dell'ippocastano (Recensione)

Titolo: L’inganno dell'ippocastano
Autore: Mariano Sabatini
Edito da Salani

L’inganno dell’ippocastano (Premio Flaiano Opera prima 2017), è un romanzo giallo che si tinge di rosso fin dalle prime pagine. Ascanio Restelli, il commendatore a capo di “illeciti di ogni tipo” nonché concorrente alla carica di primo cittadino della città eterna, viene rinvenuto cadavere nella sua lussuosa villa.
Ad affiancare la polizia nelle indagini, scoprendone man mano i risvolti malavitosi, Leo Malinverno, un giornalista della carta stampata, sciupafemmine e particolarmente scaltro nel suo lavoro, che si ritroverà coinvolto in inquietanti scoperte con le quali dovrà necessariamente fare i conti.
Un titolo che la dice lunga sul contenuto. Un albero, quello dell'ippocastano, che ha fattezze di saggezza; imponente e carico di frutti lucidi, invitanti, perfetti, ma che non possono essere mangiati tanto sono amari. Un vero e proprio inganno, direi.

Il noir è ambientato in una Roma in cui coesistono da un lato la parte bene e benpensante e, dall’altro, una periferia sfregiata e svilita. 

Mariano Sabatini fotografa questa realtà avvalendosi di una scrittura che ricorda il fluttuare del mare, quel movimento ondulatorio attraverso il quale il lettore viene cullato e che, di tanto in tanto, cede il passo a uno scossone sintattico soppesato ed efficace: una sorta di piroetta verbale ben assestata.
La descrizione dei personaggi, sia che si tratti di coatti della periferia o di rappresentanti della criminalità organizzata alla ricerca di sangue e denaro, consente al lettore di addentrarsi nella trama senza che il racconto ne sia appesantito o che la lettura subisca dei rallentamenti. 
Credo che questo ingresso di Sabatini nella letteratura di genere sia una scommessa riuscita, messa a segno con eleganza e capacità.

Nel testo si legge: "Sedettero uno di fronte all’altro su comode poltrone di pelle che dovevano aver accolto generazioni di natiche.”

E a noi non resta che sederci e attendere con bramosia il suo prossimo romanzo.

Federica Lombardozzi Mattei

domenica 22 ottobre 2017

Centrifuga. Fughe, ritorni e altre storie. AA. VV. (Recensione)

Testo: Centrifuga. Fughe, ritorni e altre storie.
Autore: AA.VV.
Edito da Sinnos
Antologia a cura di Patrizia Rinaldi.


“C’è sempre un posto al Centro
Della Periferia
C’è sempre un posto
Nella Periferia del Centro.” 
(BrunoTognolini, “Il paese lontano chiamato Qui”)

Centrifuga è quella cosa che mescola, frulla, scompone, allontana; che trova in sé la sua stessa forza senza bisogno d’altro. Questi elementi si colgono facilmente tra le righe dei ventinove racconti, di altrettanti autori, che attraverso un’analisi pungente, consapevole, a tratti ironica tendente al nostalgico, denunciano le peripezie di vite incastrate ai margini non solo della grande città, ma della stessa periferia. Come periferie della Periferia.
Centrifuga, questo è il titolo del libro, è un collage di zone di confine, di emarginazione, di conflittualità, di rapporti esasperati, ma anche di sogni e di possibilità. 
Nelle cinque porzioni di uno stesso insieme, nelle quali è articolato il libro (Scoperte, Ricordi, Parole, Cronache e Arte), si narra di ricordi, di ritorni, di partenze e di vere e proprie fughe; il desiderio di andare via e l’incombenza di dover restare nei luoghi in cui, nonostante tutto, prende forma e consistenza la propria identità. Come nel racconto intitolato Ciccio, di Maria Franco, nel quale i sentimenti, la consapevolezza e la caparbietà di un tredicenne confluiscono e si incanalano verso un’evoluzione necessaria.
I racconti sono accumunati dalla tematica quanto dall’ariosità della prosa, dalla scelta di vocaboli semplici nella struttura grammaticale, ma densi nella loro connotazione, ovvero nelle molteplici risonanze affettive che producono.
Questi racconti, e più in generale le parole, godono di una potenza emotiva enorme; possiedono un carico emozionale che diventa bagaglio, un bagaglio che ognuno di noi può scegliere di portarsi dietro: addosso oppure dentro.
Paolodi Paolo, nel suo racconto “La periferia di Te” ha palesato indiscutibilmente il senso della letteratura tutta: “Solo se racconti bene qualcosa, quella cosa esiste, e raccontandola la difendi.”
Centrifuga sostiene le attività del Centro di lettura ad alta voce “Leggimi forte” di Pomigliano d’Arco che da anni si pre-occupa di portare la letteratura per ragazzi nelle scuole delle Periferie della Campania.
Sosteniamolo anche noi.



La ragazza del treno di Paula Hawkins (Recensione)


Testo: La ragazza del treno
Titolo originale: The girl on the Train
Autore: Paula Hawkins
Edito da Piemme (2015)
Traduzione a cura di Barbara Porteri
Genere: thriller


Paula Hawkins è una scrittrice inglese con un trascorso da giornalista. 

Paula ci parla della vita di Rachel, un’esistenza che di per sé interesserebbe a poca gente. Rachel, difatti, vive sola, non ha amiche, ha un lavoro che non ama ed è stata mollata da poco da quello che credeva essere l‘uomo giusto. L‘unico momento interessante della giornata, è quando prende il treno delle 8:04 per viaggiare dalla periferia di Londra verso il centro città. Durante quei 54 minuti di viaggio, Rachel si gode la comodità e l‘accoglienza del vagone, si guarda attorno, elabora fantasie. A metà tragitto, come di consueto, il treno si ferma a un semaforo, e lei guarda oltre il vetro, verso la villa al civico 15. Sulla loro terrazza Jess e Jason, (questi i nomi di fantasia che Rachel ha deciso per loro), conducono la vita perfetta che tutti vorrebbero avere. Ma una mattina Rachel, su quella terrazza, vede qualcosa di insolito, allarmante, che la sconvolge e la porterà a intrecciare la propria esistenza con quella dei due ragazzi. Ma cosa ha visto davvero Rachel? 

A un certo punto della storia si ha come l‘impressione che non stia tanto guardando fuori ma dentro di sé; l'alcol, le distrazioni emotive, un lavoro che non appaga e la costante sensazione d’essere “sbagliata”. Di solito, chi scrive un diario, come fanno la protagonista e le antagoniste di questo romanzo, vuole puntualizzare a se stesso ciò che accade in quel periodo presente, senza pensare al passato, per quanto esso contenga in sé dell’irrisolto. Questi diari offrono più punti di vista, un po’ come guardare con tanti occhi nella stessa direzione. 

Armandosi di una scrittura semplice ma non semplificata, intensa e fluida, la Hawkins travolge il lettore inserendo continui colpi di scena, ribaltamenti della trama, e sospettati insospettabili. È un thriller dal finale impareggiabile, inaspettato e che si farà ricordare.

Mi ha sistemato davanti la tazza e si è seduto al tavolo, intrecciando le mani. Siamo rimasti in silenzio per un po’; avevo caldo ed ero a disagio, non sapevo cosa dire. Non ricordavo nemmeno più perché mi trovavo in quella casa. In lontananza ho sentito il rumore del treno: mi ha rassicurata.”


Federica Lombardozzi Mattei