Titolo:
XXI secolo
Autore:
Paolo Zardi
Editore: Neo Edizioni
“La
tragedia non è per tutti. Ci vuole un certo physique
durôle, per farne parte. Una predisposizione precisa, un talento. Non basta
morire, o soffrire, o perdere tutto, per essere il protagonista di un dramma:
serve un destino già scritto, un coraggio inspiegabile, e una voce ben
impostata.”
La
tragedia di cui parla il protagonista, un venditore di sistemi di depurazione
dell’acqua domestica che per sopravvivere mente agli sprovveduti clienti perché
“l’alternativa era morire”, è quella di ritrovarsi con una moglie in uno stato
di coma conseguente a un ictus. Al peso di una diagnosi medica incerta, con le relative tempistiche diluite da tale incertezza, e alla responsabilità di doversi
occupare da solo dei propri figli, si aggiungerà il ritrovamento inaspettato di
un cellulare. Nascosto tra la biancheria intima che non le aveva mai visto
indosso, quell’oggetto riporta alla luce gli scatti pornografici che ritraggono sua moglie con uno sconosciuto, prove di un amore
clandestino in piedi da chissà quanto tempo.
In prima battuta, l'uomo prende le distanze dalla vita che pensava
essere la sua, affida i figli alla madre e si concede alla bruttezza e alla solitudine dell'albergo di fronte all'ospedale dal quale può vederne tutto il grigiore e il silenzio; tornare a casa significherebbe aprire la ferita e doverci guardare dentro, adesso che la sola persona a potergli offrire dei chiarimenti
giace in uno stato di mutismo imposto
“Dopo una certa età, i
tradimenti creano grossi casini. Quando l’amore si trasforma in un groviglio di
contratti, promesse, rughe, impegni, rate, è come un vulcano di rancore pronto
a esplodere. Ma il desiderio, quel cancro dell’anima, se ne fotte delle conseguenze.
Sotto c’è sempre la questione della vita che deve perpetuarsi, la storia del
gene egoista, cose così. Ed è per la cieca ostinazione di quella vita che il
desiderio se ne sbatte della famiglia, dei suoi dettami, e delle regole. Non
guarda in faccia a nessuno. Basta un attimo e l’amore, il fondamento della
famiglia, si trasforma in un fucile puntato sul suo stesso nucleo.”
In
un secondo momento, invece, comincia a indagare, vuole fare chiarezza, vuole delle risposte alle domande che iniziano a riempirgli la testa; al fine di ottenere delle informazioni riguardo il presunto amante, chiama
in causa (inutilmente) le amicizie di sua moglie, affronta un viaggio estenuante che non è solo uno spostamento fisico, finendo però per macerare lentamente nei succhi acidi delle cose
irrisolte e (forse) irrisolvibili.
Paolo Zardi, nato a Padova nel 1970, ingegnere, sposato, due figli, ha esordito nel 2008 con un racconto nell'antologia Giovani cosmetici (Sartorio). Successivamente ha pubblicato le raccolte di racconti Antropometria (Neo Edizioni, 2010) e Il giorno che diventammo umani (Neo Edizioni, 2013), il romanzo La felicità esiste (Alet, 2012) e il romanzo breve Il Signor Bovary (Intermezzi, 2014). Ha partecipato a diverse raccolte di racconti e i suoi racconti sono stati pubblicati su Primo Amore, Rivista Inutile e nella rivista Nuovi Argomenti. È il primo autore italiano ad essere tradotto e pubblicato sulla rivista Lunch Ticket dell'Università di Antioch (Los Angeles) con il racconto Sei minuti (in Antropometria). Cura il blog grafemi.wordpress.com.
Paolo
Zardi ci racconta di un futuro distopico, di un secolo caratterizzato dalla
crisi economica, e di quella dei valori, schiacciate entrambe dall’accidia irrefrenabile
dell’Occidente, della crisi petrolifera, del benessere a tutti i costi, della
desolazione sociale e della mancanza d’amore.
Un
futuro, questo, vagamente riconoscibile, di cui Zardi ci parla in modo diretto,
asciutto, a tratti feroce. Una scrittura che va al di là del semplice “dire”,
una struttura narrativa che non lascia nulla al caso.
Anche
quando i toni fin troppo dolorosi e seri, cedono il posto a molecole
sillabiche di speranza e dolcezza
«Ho paura, papà.»
«Di cosa?»
«Del buio. E dei
rumori. Li senti?»
Dal soffitto, da sotto,
da punti indefiniti, arrivano gli scricchiolii che avevano accompagnato tutte
le sue notti in quella casa. Il palazzo era in continuo assestamento, come un
ragazzo nell’età della crescita, un vulcano sopito, come un vecchio decrepito
che cerca disperatamente di rimanere in piedi.
Gli prese le mani. «È
la voce di questa casa. Ma è un posto buono, io qui ci sono cresciuto. Hai
visto com’è diventato grande papà?»
Di
questo romanzo, candidato al Premio Strega 2015, avevo affermato: “Questo libro promette
bene”.
A fine lettura posso dire che tali promesse sono state mantenute.
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