mercoledì 11 dicembre 2019

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Federica L. M. 

martedì 22 ottobre 2019

La farfalla pavone (Recensione)


Titolo: La farfalla pavone
Autore: Elda Lanza
Edito da Lisciani Libri nella collana Black List
Illustrazioni a cura di Cristiano Catalini



"Si guardò le mani, erano sporche di sangue.
Riprese lo straccio, lo dispiegò come poté, per rendersi conto che il sangue era fresco, a grumi, e che tra le pieghe c’erano filamenti di carne, che sembrava umana ma che poteva anche essere di un animale: erano frammenti, come se avessero pulito un coltello usato a quello scopo. E che a lui aveva sporcato le mani." 


Questo l’incipit che ci inizia e ci addentra in una trama dai risvolti inattesi.
La farfalla pavone è un animale dall’aspetto piuttosto singolare, eccentrico: colori decisi e sgargianti che concorrono a donarle un’estetica che non passa inosservata. 
Renata Dosio, la protagonista di questo romanzo, al pari della farfalla pavone, ha avuto in dote la bellezza, l’eleganza e l’eccentricità, ma ha coltivato la spietatezza e l’audacia tipiche di chi è disposto a qualsiasi cosa pur di realizzare il proprio sogno che, nel suo caso, è quello di diventare la sovrana indiscussa del panorama culinario.
Renata è una donna ambiziosa che, sostenuta da suo marito Alfio, sfrutta senza remore la propria avvenenza per ottenere ciò che vuole dal cavaliere Achille Ginestri, facoltoso e anziano banchiere.

“Le propose di sposarlo, perché non sarebbero più riusciti a incontrarsi. (…)Per quella pianta e per quel fiore, Renata disse di sì.
E mise in chiaro le sue pretese. Avrebbero vissuto da marito e moglie, ma niente figli. Liberi tutti e due della propria vita e del proprio corpo: lei stava studiando come servirsene senza diventare una puttana, lui come goderne senza rimetterci.”

Ad interrompere il suo operato ai danni del vecchio banchiere saranno dei casi di omicidio, apparentemente senza movente e senza risoluzione, che la porteranno altrove. 
Il suo desiderio di rivincita personale rimarrà irrisolto, lasciato andare per non doverlo vedere deperire.
Irrisolto pure il sogno come irrisolti certi delitti, i desideri più intimi, talvolta la vita stessa.






Elda Lanza in questo romanzo opera una chiara e attenta lettura delle debolezze e dei limiti del genere umano nonché dell’imprevedibilità di certi fatti, e lo fa forte di una scrittura pulita, diretta, concreta. Un narrare scorrevole e piacevole in cui allusioni, pregiudizi, linguaggio e componenti dialogiche si fondono con puntualità e maestria. 



domenica 23 giugno 2019

La settimana bianca (Recensione)

Titolo: La settimana bianca
Titolo originale: La Classe de neige
Traduzione a cura di Maurizia Balmelli



In seguito Nicolas cercò a lungo, ancora oggi cerca, di ricordarsi le ultime parole che gli aveva rivolto suo padre. L’aveva salutato sulla porta dello chalet, gli aveva nuovamente raccomandato di fare attenzione, ma Nicolas era così imbarazzato dalla sua presenza, così ansioso di vederlo andar via che non era stato a sentire.
(…)
Nicolas e suo padre raggiunsero lo chalet poco prima di sera. (…) Mentre nell’ingresso la maestra parlava con il padre di Nicolas e gli presentava i due animatori, nel salone i bambini cominciarono a fare chiasso. Fermo sulla porta, Nicolas li guardava senza avere il coraggio di raggiungerli. (… )
Quando finalmente suo padre ripartì, si lasciò baciare controvoglia e non uscì a salutarlo. Dall’ingresso ascoltò con sollievo il motore diesel rombare sullo spiazzo, poi allontanarsi.
La maestra incaricò gli animatori di ristabilire l’ordine e di far ripartire la proiezione mentre lei aiutava Nicolas a sistemarsi. Gli chiese dove fosse il suo zaino, per portarlo su nel dormitorio. Nicolas si guardò intorno ma non lo vide. Non capiva.
“Mi pareva che fosse qui” mormorò.
(…)
“E quando siete arrivati, l’avete tirato fuori dal bagagliaio?
Nicolas scosse la testa mordendosi le labbra. Non ne era sicuro. Anzi, sì: adesso era sicuro che si erano dimenticati di tirarlo fuori. Erano scesi, poi suo padre era risalito in macchina e il bagagliaio proprio non l’avevano aperto.

Questo è il primo cruccio col quale Nicolas, ragazzino in gita scolastica, si ritrova a dover fare i conti una volta arrivato allo chalet. Il primo, non il solo, poiché Nicolas custodisce un segreto che cerca di tenere tenacemente nascosto ai suoi compagni di stanza:

Non si sentiva più nessun rumore, ma Nicolas non era sicuro che gli altri dormissero. Forse facevano finta, temendo di attirarsi le ire di Hodkann, e forse anche Hodkann fingeva, per sorprendere chi avesse osato infrangere gli ordini. Dal canto suo, Nicolas non voleva dormire. Aveva paura di fare pipì a letto e di bagnare il pigiama di Hodkann. O, peggio ancora, di inzuppare il materasso, sprovvisto di traversa, e bagnare addirittura lo stesso Hodkann sotto di lui. Il liquido maleodorante avrebbe cominciato a sgocciolare su quel volto di tigre, facendogli storcere il naso; Hodkann si sarebbe svegliato e allora sarebbero stati guai.
Per evitare una simile catastrofe, l’unica soluzione era non addormentarsi.

E invece poi succede, e l’empatia di Patrick non basta a nascondere Nicolas agli occhi dei suoi compagni, se non per un tempo limitato. 
Ma è pure con molte altre cose che il bambino deve convivere: con il suo impaccio di crescere e autodeterminarsi, con la sua famiglia, con un padre che non è come dovrebbe essere, come lui vorrebbe che fosse:

Al crepuscolo suo padre usciva dalla sua camera in pigiama, con la barba lunga, la faccia imbronciata e gonfia di sonno, tasche piene di fazzoletti appallottolati e confezioni di medicinali vuote. Sembrava sorpreso, sgradevolmente sorpreso di svegliarsi lì, di camminare tra quei muri troppo vicini e scoprire, aprendo la prima porta che incontrava, una cameretta dove due ragazzini, a quattro zampe sulla moquette, interrompevano il gioco o la lettura per guardarlo con apprensione.
(…)
Aveva lo sguardo confuso, gli tremavano le mani. Si era alzato ansimando, con il pigiama color vinaccia semiaperto, tutto spiegazzato, ed era uscito a tentoni, quasi non sapesse quale porta aprire per imboccare il corridoio, tornare in camera sua, rimettersi a letto.

In questo quadro emotivo/familiare si esplica tutta la vicenda, un susseguirsi e un crescendo di ansie, di angosce che troveranno il loro epilogo in un finale del tutto inaspettato.



Emmanuel Carrère è nato a Parigi, dove vive e lavora. Di lui Adelphi ha pubblicato Limonov (2012), L'Avversario (2013), Il Regno (2015), Io sono vivo, voi siete morti (2016), A Calais (2016), Propizio è avere ove recarsi (2017), e Un romanzo russo (2018). La settimana bianca è apparso in Francia nel 1995. 


Non so se, come molti insistono nel dire, questo sia il romanzo meglio riuscito di questo autore. Ciò che credo è che sia un noir che, seppure nella sua linearità e apparente "semplicità" di scrittura, riesce a indagare le paure, le angosce, le incertezze di questo protagonista in maniera ineccepibile. Un viaggio all'interno della fantasia (terrorizzata) di questo bambino che vedrà le sue Storie di paura prendere la forma e le sembianze di chi avrebbe dovuto proteggerlo.